Sopravvivere all’ansia… ed agli ansiosi!


Parlare di ansia è come raccontare di una vecchia conoscenza comune; chi non ha avuto l’occasione di sperimentarla?

D’altra parte si tratta di un’emozione che ha una funzione adattiva fondamentale, essa ci segnala un possibile pericolo da cui trarci in salvo. Spesso viene associata alla paura, in realtà, pur essendo molto simili, sono nella sostanza diverse: mentre la paura è una reazione funzionale ad affrontare (attaccando o fuggendo) un pericolo immediato, l’ansia ha a che fare con la preoccupazione di un ipotetico evento futuro. Un esempio tipico è quando uno studente deve sostenere un esame, immaginarlo (con ansia) gli consente di individuare eventuali criticità che potrebbe incontrare, spingendolo a prepararsi in modo più consono.

Tuttavia può accadere che l’ansia smetta di svolgere la sua funzione adattiva per divenire una condizione disadattiva; ciò quando le reazioni ansiose sono generalizzate ad una serie di situazioni che di per sé sono ‘neutre’, cioè non ansiogene. Oppure, anche quando la minaccia esiste realmente (tornando all’esempio dell’esame), la carica di ansia è talmente forte da impedire alla persona di concentrarsi e di portare a termine il compito.

L’ansia, dunque, altro non è che il bisogno di “controllare il mondo”. Essa nasce dalla sensazione di imprevedibilità degli eventi e delle situazioni, e dalla percezione di vulnerabilità personale che ne consegue.


Quali sono i sintomi dell’ansia

L’ansia di fatto presenta molte manifestazioni, alcune classiche (tachicardia, respiro corto, sudorazione, tremore etc.) altre meno classiche:
  • stanchezza e affaticamento;
  • mal di testa;
  • tensione muscolare;
  • dolori muscolari;
  • difficoltà di deglutizione;
  • dolori intestinali;
  • disturbi del sonno;
  • contrazioni nervose;
  • irritabilità;
  • sensazione di sbandamento o vertigini.

  • Non sempre quindi l’ansioso sente lo stato di apprensione, il fiato corto e tutto ciò che comunemente riconduciamo all’ansia, ma avverte altri tipi di sintomi fisici (alcuni dei quali sopra elencati) che di fatto sembrano non avere a che fare con un problema ansioso, ma lo sono.


    Quali rimedi?

    La bellezza dell’uomo risiede nella sua unicità, ogni storia è a sé, non è facile fare una trattazione teorica (ma anche clinica), che vada bene per tutti, bisogna creativamente ricercare la strada giusta, per quella persona, con la sua storia.

    L’ansioso, solitamente, sente il proprio malessere come una condizione permanente ed imprescindibile. Di fatto, è un problema assolutamente risolvibile. Fondamentale è inquadrare bene la situazione (che tipo di ansia è, da quanto tempo il soggetto ne soffre, quanto limita la sua vita quotidiana, in che modo il contesto relazionale in cui vive ha influito ed influisce nel mantenimento del sintomo ansioso).

    Per chi vive a contatto con ansiosi. Va subito specificato che un problema ansioso non si risolve autonomamente. Spesso gli altri, nel tentativo benevolo di prendersi cura del malessere, esortano l’ansioso a rasserenarsi, ciò non solo non ha alcun effetto terapeutico (come dire ad uno zoppo di guarire e smettere di zoppicare), ma generalmente aumenta la carica di rabbia in chi riceve tali sollecitazioni, poiché sente ancor più forte la frustrazione di non riuscire a venire a capo del proprio malessere, quando gli altri si aspettano che sappia farlo, con implicazioni anche nell’autostima. Quante volte all’ansioso viene detto “e tu non pensarci?”, avete mai sentito dire ad un malato di cuore “non ci pensare, vedrai che passerà!”, mi auguro di no. L’idea culturale è che le patologie organiche abbiano tutta la dignità di essere trattate come importanti per cui da affrontare nell’immediato; tutte quelle emotive, vengono sentite come superabili autonomamente o addirittura facendo finta che non esistano (a riuscirci!). Trascurando l’intimo legame, ormai scientificamente dimostrato, tra mente e corpo, per cui il malessere emotivo, non trattato, può avere effetti molto pesanti anche sul corpo. Così come la malattia del corpo, ha inevitabili ripercussioni nell’emotività di chi la vive.

    Non va neanche bene l’atteggiamento opposto in cui viene troppo agevolata l’ansia altrui, soprattutto laddove cominciano ad essere attivate strategie di evitamento. Faccio un esempio banale: se io provo ansia quando esco per strada, tenderò inizialmente a ricercare compagnia tutte le volte che dovrò farlo, successivamente potrei chiedere ad altri di fare al posto mio delle cose, fino a che potrei ritrovarmi a non uscire più, delegando, in tutto e per tutto, i miei familiari. I familiari sentendo l’enorme difficoltà, potrebbero rispondere a tutte le richieste, creando, inconsapevolmente, un circolo vizioso che si autoalimenta. Ovviamente è un caso limite, però l’esempio credo renda chiaro il rischio di un sistema familiare che si riorganizza attorno al sintomo di un suo membro.

    Per l’ansioso: l’ansia è un problema invalidante, ma si può trattare con buoni, in certi casi ottimi, risultati. Dipende ovviamente dal tipo di disturbo ansioso (ce ne sono molti, vi risparmio l’elenco). La Psicoterapia è fondamentale, perché permette di capire quali siano i vissuti emotivi e relazionali che l’hanno fatta emergere e che, ad oggi, mantengono lo stato di malessere. Oltre il capire da dove viene e che c’è venuta a fare, mediante la psicoterapia è possibile attivare un processo di graduale riposizionamento della persona nella propria storia. Ciò partendo dal presupposto che, come le ultime ricerche confermano, i cambiamenti attivati attraverso la psicoterapia, hanno degli effettivi riscontri anche sul piano del funzionamento neurobiologico del soggetto.

    Anche l’ipnosi può essere un grande aiuto nel trattamento dei disturbi ansiosi, ma di questo ne parlerò in un altro articolo.

    La farmacologia: consigliata in talune situazioni ed in associazione ad un percorso terapeutico. È abbastanza intuitivo che il farmaco può agire nel ripristinare l’equilibrio neurobiologico, ma non quello relazionale ed esistenziale, cosicché se non viene strutturato un cambiamento significativo a tutti i livelli, la persona avrà ciclicamente bisogno di ritornare al farmaco per star bene. D’altra parte è anche vero il contrario: quando la sintomatologia è particolarmente aggressiva ed invalidante, la psicoterapia da sola non riesce a produrre grandi risultati, occorre un aiuto farmacologico mirato e circoscritto nel tempo.

    Esercizi di respirazione: questi esercizi possono molto aiutare nell’immediato, cioè quando sta per arrivare il picco d’ansia. In generale sono esercizi che ridanno alla persona la sensazione del dominio su di sé, non sentendosi in balìa del sintomo ansioso.

    Fondamentali queste tecniche sono per coloro che soffrono di attacchi di panico, perché consente loro di controllare molto di più l’insorgenza del sintomo (che non è poco!).


    Ma in cosa consistono questi esercizi?

    L’ansioso generalmente ha una respirazione che viene banalmente definita “corta”, in quanto “si ferma” al petto. In questo tipo di respirazione l’immissione dell’aria è associata ad un rigonfiamento del petto ed una contrazione verso l’interno del ventre. Una respirazione “profonda” è un vero cambiamento di stile della respirazione: quando immetto l’aria il petto e la pancia dovrebbero gonfiarsi ed allargarsi verso l’esterno. Avete provato? Mettetevi su una sedia/poltrona comoda poggiate le vostre mani sulla pancia e fate un primo test, come respirate? La buona respirazione di fatto è qualcosa di apparentemente banale, in realtà è assolutamente fondamentale, essa agisce sul sistema nervoso autonomo, che di fatto non è controllabile. Quando siamo in ansia, il cuore pompa così velocemente che non riesce a riempirsi di sangue in modo adeguato, il viso diventa bianco e le mani tremano. Non possiamo controllare le reazioni (anzi più ci proviamo, più peggiorano), se non attraverso una buona respirazione, la quale diventa un modo per esercitare un controllo cosciente sulla parte inconscia di noi. In pratica aumentiamo il funzionamento del sistema nervoso parasimpatico, diminuendo il predominio di quello simpatico.

    Dunque basta inspirare (per quattro secondi) facendo attenzione che la parte toracica si gonfi, trattenere il fiato (per quattro secondi), espirare lentamente (quattro secondi). Si tratta di un metodo semplice, non risolutivo chiaramente, ma di grande impatto nella qualità della vita, se associato agli altri strumenti di cui ho già scritto.

    Talvolta, occorre “educare” ad una buona respirazione (“profonda”) e pian piano, si acquisisce competenza nell’uso di questo piccolo grande strumento.
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